Dalla vigna alla bottiglia: la sostenibilità del vino passa per il rispetto del lavoro. 

 

Per un vino veramente sostenibile, partiamo dai lavoratori

La sostenibilità nel mondo del vino è un concetto complesso, e va ben oltre la semplice adozione di pratiche agricole a basso impatto ambientale. Sebbene l’attenzione all’ecosistema, la riduzione del consumo idrico e l’impiego di energie rinnovabili siano elementi fondamentali, la vera sostenibilità di un’azienda vinicola si misura anche nella capacità di garantire condizioni di lavoro dignitose ed eque per tutti i suoi dipendenti. Dietro ogni bottiglia di vino si cela il lavoro di persone, spesso lavoratori migranti e stagionali, che si trovano ad affrontare sfide significative: precarietà contrattuale, difficoltà nell’accesso a un’abitazione dignitosa e retribuzioni non sempre adeguate al carico di lavoro. Questa situazione, in alcuni casi estremi, può degenerare in vere e proprie forme di sfruttamento, con gravi ripercussioni non solo sulla vita dei lavoratori coinvolti, ma anche sull’immagine dell’intero comparto vitivinicolo. Come ben evidenziato da Samantha Maxwell nel suo articolo pubblicato su Salon, la dipendenza da manodopera precaria, particolarmente accentuata durante il periodo della vendemmia, è una problematica diffusa a livello globale, con esempi concreti di sfruttamento e condizioni lavorative inaccettabili in diverse regioni del mondo. Per costruire un futuro veramente sostenibile per il settore vitivinicolo, è necessario un cambio di prospettiva radicale. La tutela dei diritti dei lavoratori deve diventare parte integrante della discussione sulla sostenibilità, affiancandosi alle tematiche ambientali. Fortunatamente, si osserva una crescente consapevolezza di questa necessità, con alcune aziende che si distinguono per un approccio innovativo e responsabile, ponendo il benessere dei propri dipendenti al centro della propria strategia aziendale. L’articolo di Samantha Maxwell fornisce esempi italiano di aziende virtuose, tra cui Feudi di San Gregorio e Cusumano.  La prima, in Campania, ha implementato un sistema di “banca ore” e offre contratti a tempo indeterminato anche per figure professionali non impiegate a tempo pieno, garantendo ai lavoratori una maggiore stabilità economica e una flessibilità che permette loro di conciliare meglio vita privata e lavoro. La diversificazione della produzione, che include anche olio extra vergine d’oliva e conserve, offre ulteriori opportunità di impiego e formazione trasversale, consentendo al personale di lavorare anche nei periodi di minor attività in vigna. Come sottolineato dal proprietario Antonio Capaldo, questo approccio non è visto come un mero atto di filantropia, ma come una scelta strategica che porta benefici concreti all’azienda, in termini di maggiore fidelizzazione dei dipendenti, miglioramento della qualità del lavoro e creazione di un clima aziendale positivo.

 

Aziende virtuose come Feudi di San Gregorio e Cusumano dimostrano che investire nel benessere dei dipendenti e nella manodopera locale porta benefici concreti. Tuttavia, il settore vitivinicolo italiano deve ancora affrontare sfide come la stagionalità del lavoro, la precarietà abitativa e la pressione sui prezzi, che richiedono un impegno congiunto per garantire condizioni di lavoro dignitose.

 

Un aspetto cruciale per la sostenibilità del settore vitivinicolo italiano è la scelta di valorizzare la manodopera locale. Mentre a livello globale si osserva spesso il ricorso a lavoratori stranieri impiegati in attività stagionali, con conseguenti rischi di vulnerabilità e sfruttamento, alcune aziende italiane hanno intrapreso una strada diversa, privilegiando un forte legame con il territorio. Cusumano rappresenta un esempio virtuoso di questo approccio. L’azienda, forte di una lunga tradizione vitivinicola in Sicilia, ha scelto di avvalersi prevalentemente di lavoratori locali, contribuendo a consolidare il tessuto economico e sociale della regione. Come afferma Diego Cusumano, “La maggior parte delle persone che lavorano nei nostri vigneti sono lavoratori locali“. Questa scelta non solo favorisce rapporti di lavoro stabili e continuativi, con la conseguente valorizzazione dell’esperienza e della conoscenza del territorio da parte dei lavoratori, ma rafforza anche il senso di appartenenza alla comunità. “I lavoratori locali sono più profondamente legati ai territori… Lavorano non solo per la nostra azienda, ma per rendere più bello il territorio in cui vivono,” sottolinea Cusumano. Pur riconoscendo che questa scelta potrebbe comportare un investimento economico maggiore, Cusumano dimostra che si tratta di un investimento a lungo termine, che genera benefici per l’intera comunità, promuovendo un’economia locale più solida e sostenibile e contrastando le dinamiche di sfruttamento che possono colpire i lavoratori più vulnerabili. Certo, nonostante esempi virtuosi, il settore vitivinicolo italiano deve affrontare comunque sfide significative legate al lavoro. La stagionalità, intrinseca al settore, come detto genera precariato e difficoltà di accesso a previdenza e assistenza, soprattutto per i lavoratori stagionali, spesso migranti, in regioni a forte vocazione vitivinicola. A ciò si aggiunge la precarietà abitativa, con la difficoltà di trovare alloggi a prezzi accessibili, soprattutto in regioni a forte vocazione turistica, come Veneto, Trentino-Alto Adige, Toscana e Piemonte. La competizione globale e la pressione sui prezzi, infine, spingono alcune aziende a ridurre i costi del lavoro, con il rischio di sfruttamento, soprattutto a fronte della concorrenza di paesi con costi inferiori e della frammentazione del settore italiano, che ostacola l’applicazione uniforme delle normative. Ulteriori criticità sono il lavoro nero e irregolare, che danneggia i lavoratori e crea concorrenza sleale; l’alta età media degli addetti, che rende necessario incentivare il ricambio generazionale con formazione e prospettive di carriera; e la già citata frammentazione del settore, che rende complessa l’attuazione di politiche comuni per la tutela dei lavoratori.