LO SPACCIATORE DI IDEE. IO, DINOSAURO NELLA SCUOLA

di Carmelo Bucolo ( un Siciliano “vero” al Nord )

Ebbene si, lo ammetto. Sono un dinosauro. Appartengo a una specie estinta e, nonostante i segnali premonitori, non me n’ero accorto. I dinosauri sono fastidiosi. Detestano chi si comporta male, chi parla ad voce alta, chi fa squillare a lungo la suoneria del cellulare, chi frega il posto nelle file, chi butta le cartacce per terra e via dicendo. Sono dinosauri fastidiosi perché pensano che i bambini e i ragazzini debbano avere rispetto per gli adulti e ancor di più per gli insegnanti, e magari lo dicono anche ad alta voce. Pur essendo un dinosauro, però, non mi riconosco affatto nei nostalgici, in chi invoca la rivoluzione conservatrice. Ho sempre sostenuto che non c’è niente di peggio di chi guarda indietro invece che avanti. Questa voleva essere una premessa per ritornare ( ahimè ) sull’annoso stato in cui versa la Scuola e sul rapporto tra l’Istituzione e coloro che direttamente o indirettamente vi fanno riferimento. Ormai non sono rari i casi in cui nei corridoi della scuola si sentono discorsi del tipo: “Ma avete visto come si veste il prof ?” “Non farei mai il suo mestiere, si deve studiare troppo e lo stipendio è troppo basso”. “Fanno i professori perché non sanno fare altro”. Sono queste alcune affermazioni che lasciano sbigottiti se si pensa che ci sono insegnanti che combattono eroicamente per dare ai giovani gli strumenti per affrontare con competenza le sfide della vita. C’è poco da aggiungere, se non che l’immagine che i ragazzi hanno dei loro insegnanti evidentemente rispecchia quella che ne hanno le loro famiglie, e che questo significa che la scuola, ciò che sta alla base della costruzione della cultura delle generazioni che vengono, non rappresenta più, per gli italiani, un’istituzione da rispettare, e dalla quale trarre il massimo beneficio, ma una noiosa corvè alla quale ci si deve sottoporre perché da un lato la scuola è un obbligo e dall’altra un pezzo di carta fa sempre comodo. Ora, è vero che la scuola di massa, alla quale accedono tutti, non può essere la stessa di quella di élite di mezzo secolo fa, è logico e persino giusto che sia così. Educare la minoranza colta di allora non è lo stesso che educare tutti, nessuno escluso. Qualcosa si doveva perdere, è ancora una volta una delle contraddizioni della democrazia. E la disciplina che vigeva un tempo nella scuola di quarant’anni fa, non è più disponibile. Quel che è accaduto nell’ultimo ventennio, però, è che anche i genitori hanno sposato l’idea che bisognava difendere i figli da una scuola troppo selettiva e disciplinata. E il risultato, in fondo, è che gli insegnanti hanno perso autorevolezza, perché i primi a incoraggiare i comportamenti aggressivi e indisciplinati sono i genitori. A complicare la situazione ci si è messa di mezzo anche una riforma che da un lato produce una forte burocratizzazione e dall’altro mette le scuole sul mercato, certificando il binomio scuola-azienda. Ma se la scuola è un’azienda e gli studenti sono i clienti, allora occorre andare incontro alle loro esigenze. Vogliono tenere acceso il cellulare in classe? Che lo facciano, non staranno mai attenti, ma che male c’è. Non si usa più il congiuntivo? Bé, in inglese non c’è, perché non adeguarsi. Non sanno scrivere in italiano? Poco male, sono dei maghi col computer, questo conta. E via così, gettando a mare la specificità della lingua scritta e parlata e impoverendo strumenti grammaticali e sintattici, per non parlare del vocabolario. Scrivere il tema di italiano era, nella scuola di una volta il momento più alto e più impegnativo di verifica delle conoscenze acquisite e della maturità intellettuale raggiunta. E in effetti stendere un testo, in una lingua corretta, con uno svolgimento logico, con riferimenti alle materie studiate e con una riflessione personale rappresenta il modo migliore per imparare a ordinare il pensiero e gli strumenti per esprimerlo. Quello che è venuto meno non è soltanto il prestigio sociale del docente, ed è già grave; e nemmeno soltanto la disciplina e il rispetto per l’istituzione. E’ venuta meno la convinzione della collettività che il momento educativo (la casa e la scuola) sia il presupposto per dare ai giovani non solo solide basi culturali, ma anche la coscienza di sé. L’infinita serie di ricorsi contro le bocciature scolastiche, le proteste per punizioni inflitte, fino alle minacce ai professori che non trattano bene gli studenti svogliati, sono il risultato di questa sventata battaglia contro la scuola che genitori e figli combattono assieme. Ma c’è anche il problema dei processi educativi all’interno della famiglia. I buoni genitori della classe media sono convinti che l’educazione migliore sia quella di dare ai figli tutto quello che loro non hanno avuto. Anche contro la loro volontà. I ragazzi di oggi non conoscono il l’importanza della privazione. Oggi è festa tutti i giorni. Un fantasmagorico allevamento allo spreco, all’incapacità di capire il valore del denaro e del lavoro che è necessario per produrlo. Non permettere a un bambino di conoscere il dolore di una privazione vuol dire fargliene conoscere di ben peggiori in età adulta. Adattarsi al principio di realtà, essere preparati alla vita vuol dire prima di tutto rendersi conto dei limiti che la convivenza civile con il prossimo impone. E quindi ai piccoli e grandi sacrifici che prima o poi si debbono necessariamente affrontare. Ma la perdita di autorevolezza della scuola è un problema che riverbera su tutte le strutture sociali, e va affrontato. Certo, la scuola non può non rispecchiare la società, e i valori dominanti non possono esserne cancellati, per cui è logico che il successo, il denaro, la disinvoltura in materia di economia e legalità finiscano per entrare in classe. Ma che la scuola-azienda debba conquistarsi gli allievi con proposte che non hanno niente a che fare con l’apprendimento, e che le materie curricolari siano subordinate alle logiche di mercato ( e se lo dice un prof di Economia Aziendale!), non può che togliere ulteriormente ruolo e status agli insegnanti e, di conseguenza, alla loro autorità e al senso del loro mandato. Ma anche qui è il caso di ribellarsi, perché in questo modo, quello che ora rischia di venir meno non sono solo le sensibilità e buon gusto, che appaiono smarriti da un pezzo. Rischia di svanire il compito fondamentale delle principali agenzie di trasmissione del sapere, e cioè famiglia, scuola e strumenti di comunicazione: quello di costruire cittadini maturi e consapevoli.
LA SCUOLA E’ DI TUTTI MA NON E’ PER TUTTI!