I veri pastori di anime non dimenticano il popolo e intercedono per lui

All’Udienza Papa Francesco continua la sua catechesi sulla preghiera e sul suo valore, parlando di un uomo a cui Dio ha affidato un grande compito, liberare la sua gente: Mosè.
Anche se egli non si sentiva degno, tanto che “a Dio che parla, che lo invita a prendersi nuovamente cura del popolo d’Israele, Mosè oppone le sue paure, le sue obiezioni: non è degno di quella missione, non conosce il nome di Dio, non verrà creduto dagli israeliti, ha una lingua che balbetta”, alla fine accetta questa difficile missione, seppur con mille dubbi e mille domande.
E allora, chiede il Pontefice “con questi timori, con questo cuore che spesso vacilla, come può pregare Mosè? Anzi, Mosè appare uomo come noi. E anche questo succede a noi: quando abbiamo dei dubbi, ma come possiamo pregare? Non ci viene di pregare.”
Eppure è stato capace con la sua preghiera di intercedere spesso presso Dio a favore del suo popolo: “Mosè è tanto amico di Dio da poter parlare con lui faccia a faccia e resterà tanto amico degli uomini da provare misericordia per i loro peccati, per le loro tentazioni, per le improvvise nostalgie che gli esuli rivolgono al passato, ripensando a quando erano in Egitto.”
Questo, spiega Bergoglio, fa di lui un vero pastore di anime perché “questa è una grandezza dei pastori: non dimenticare il popolo, non dimenticare le radici” in quanto “ i pastori sono dei ponti fra il popolo al quale appartengono e Dio, al quale appartengono per vocazione.”
Ecco perché ci esorta a seguire l’esempio di Mosè che “ci sprona a pregare con il medesimo ardore di Gesù, a intercedere per il mondo, a ricordare che esso, nonostante tutte le sue fragilità, appartiene sempre a Dio”. Tutto il mondo, tutte le persone. Anche “i più brutti peccatori, la gente più malvagia, i dirigenti più corrotti, sono figli di Dio e Gesù sente questo e intercede per tutti.”